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PICCOLO NON SEMPRE E' BELLO, MA E' NECESSARIO
Bortolussi: «Indispensabile il ruolo delle Pmi artigiane a fianco della grande impresa» Pascolo: «Ma le imprese vanno sostenute con riforme radicali, semplificazione, riduzione del peso fiscale, innovazione»


PICCOLO

E’ stata la piccola cittadina di Maniago, leader delle coltellerie, ad ospitare i convegni conclusivi del Festival delle città d’impresa. Un’occasione, anche per l’artigianato, di proporre una riflessione sul comparto, sulla micro e piccola impresa, con un incontro sul tema dell’artigianato nel Nord Est e il ruolo, i problemi e le prospettive delle micro imprese nell’economia del territorio, grazie al contributo della Regione Friuli Venezia Giulia, e in collaborazione con la città di Maniago e il Festival delle città d’impresa.

Dopo i saluti dei rappresentanti delle istituzioni, del sindaco Alessio Belgrado, e del presidente mandamentale Pieragelo Todesco, è stato il presidente di Confartigianato Pordenone ad introdurre la serata, e a seguire è intervenuto il direttore del Centro studi della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi.

«Ventisettemila imprese che, per quasi il 65 per cento, sono ditte individuali. Di queste il 31,22 per cento sono artigiane: un incidenza superiore a quella regionale 30,82%, di poco inferiore alla media Nord Est, 32,46%, ma di oltre 3 punti superiore alla media nazionale – ha ricordato Pascolo -.
Una densità imprenditoriale del 9 per cento, ovvero ogni 100 abitanti, in provincia di Pordenone, uno è un imprenditore; la media regionale è dell’8,48, quella del Nord Est 9,77, quella italiana dell’8,71. A Maniago, su oltre 11 mila 600 abitanti, ci sono 1.196 imprese, con una densità imprenditoriale del 9,73%. Ne 1951 la città dei coltelli vantava 254 imprese classificate come manifatturiere che davano lavoro a 1.681 addetti. Dieci anni più tardi, nel, ’62, le aziende erano 306 con 1.848 occupati. Il decennio del boom fa salire a 346 il numero delle imprese ma a 2.899 gli addetti rilevati dal censimento del ’71. Nel 2001 il manifatturiero maniaghese conta 297 aziende con 3.183 dipendenti.

E vanta un distretto, quello delle coltellerie, oggi del metallo, che comprende 15 comuni tra cui Maniago, che è perno economico dell’area e nel quale si trovano le radici storiche della lavorazione del ferro e, quindi, dei coltelli. Le imprese del distretto, oltre 180, sono specializzate nell’industria delle costruzioni di prodotti in metallo con una preponderanza nella produzione di coltelli e forbici ed altri utensili. Qui c’è una presenza preponderante di piccole e micro aziende artigianali (l’87% delle imprese è infatti iscritta all’Albo delle imprese artigiane) ed il 90% di queste occupa infatti meno di 20 addetti.

Complessivamente gli addetti del settore sono circa 1800. Per quel che attiene l’export, è buona la propensione delle aziende del distretto dato che complessivamente il 25% del fatturato viene realizzato sui mercati esteri. Nel 2007 l’export dei coltelli e oggetti in metallo ha toccato i 48,9 milioni di euro, 7,5 milioni in più rispetto al 2006. Maniago detiene oggi una quota di mercato pari al 50% della produzione italiana di coltelli suddivisa nelle due anime: quella organizzata a livello industriale orientata al coltello professionale, da tavola e da cucina; e quella composta da aziende artigianali impegnate nel settore del coltello sportivo. La produzione artigianale peraltro non si limita al solo coltello: diverse aziende si sono specializzate nel settore delle fobici, degli utensili per manicure, degli strumenti dentistici e chirurgici, ed i cavatappi, oggetto di cui Maniago detiene circa il 40/45% della quota di mercato mondiale del settore».
 
I dati illustrano bene «che cosa siano l’artigianato e la micro impresa in questa provincia e in questo territorio. E chi conosce l’area montana e pedemontana pordenonese sa che, fatta eccezione per alcuni grandi insediamenti industriali, il tessuto economico è prevalentemente composto da Pmi. Che generano occupazione, creano ricchezza e benessere. Che continuano a resistere, anche in località pesantemente penalizzate da gap infrastrutturali, e nonostante i vincoli costituiti da imposizione fiscale, nazionale e locale, costi delle materie prime, continui rincari nei costi dell’energia, l’opprimente peso della burocrazia. Si sta progressivamente riducendo il peso della grande industria che continua a migrare nelle aree in cui il costo del lavoro è un vantaggio competitivo, il prelievo fiscale è sostenibile, in cui le norme sono meno assillanti che in Italia, dove la crescita corre mentre da noi è vicina allo zero.Basta osservare cos’è accaduto ai grandi gruppi di questa provincia per intuire che il futuro sarà sempre più Pmi, innovative e internazionalizzate, imprese artigiane che si inseriscono in settori di nicchia ad elevato valore aggiunto, aziende che operano nei servizi e nel commercio. Ma il pericolo vero che intravediamo, è che un sistema Paese antiquato freni, quando non azzera, la voglia di fare impresa. In questo modo, oltre alla migrazione delle aziende, assisteremo ad una nuova emigrazione di cervelli, di gente capace, dei giovani. E il territorio, questo territorio, si avvierà verso il declino».
 
«Impedire che uno scenario così fosco si traduca in realtà è possibile – ha aggiunto Pascolo -. Ma solo se istituzioni, imprese, associazioni di categoria, parti sociali, si impegneranno per impedirlo, ciascuno per la propria parte. Occorre rimuovere gli ostacoli che costellano il percorso delle aziende, eliminare i vincoli alla competizione, ridurre significativamente la pressione fiscale sul reddito d’impresa come sui salari, e per faro occorre intervenire con decisione sulla spesa pubblica. Alla Regione chiediamo di proseguire nell’impegno dispiegato a sostegno delle imprese, di ridurre la burocrazia e l’imposizione fiscale. Ai Comuni di essere consapevoli attori di iniziative di promozione del territorio e di attrezzarlo con servizi in grado di essere valore aggiunto per chiunque scelga di insediarsi e per chi è già qui. Se per molti anni le imprese sono nate, sono cresciute, si sono sviluppate “nonostante” la politica, il governo del territorio, l’assenza di infrastrutture, ora questo non è più possibile. Occorre un nuovo “patto”, come abbiamo indicato nella presentazione al convegno, e noi siamo disposti a siglarlo» ha concluso. Non dimenticando una considerazione in relazione ai risultati elettorali «che gettano i presupposti per la governabilità ma anche le condizioni per varare quelle riforme cruciali che le imprese attendono da troppo tempo».

 Giuseppe Bortolussi ha spiegato che il futuro delle imprese artigiane è legato alla territorializzazione della produzione. E siccome le grandi imprese affidano all'esterno buona parte dei processi produttivi, la sopravvivenza non solo è garantita ma addirittura c'è spazio per chi volesse operare nel settore. «Le piccole realtà produttive locali - ha spiegato il segretario della Cgia - spesso vengono definite tali perchè si ritiene che non siano state capaci di crescere. Questo è un mito che va sfatato in quanto la scelta è ragionata e dettata dal fatto che è la stessa economia che richiede la presenza di microrealtà legate al territorio». «Spesso le grandi aziende - ha spiegato Bortolussi - si affidano alle realtà artigianali perchè sanno di poter contare su team altamente specializzati e responsabilizzati. Questa è la fortuna della grande impresa che però in Italia non è presente in grande misura e della quale si sente la mancanza. Le due realtà possono stare assieme ed anzi hanno bisogno l'una dell'altra. Pensare che ognuno possa andare avanti per conto proprio è un errore non solo concettuale, ma reale».






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