In un anno l'artigianato pordenonese ha perso altre 181 aziende, scendendo dalle 7 mila 683 del 2013, alle 7 mila 502 del 31 dicembre dell'anno scorso.
Non solo, sono nate meno aziende di quelle che hanno cessato l'attività: 493 nuove iscrizioni a fronte di 671 cancellazioni.
Dall'inizio della crisi la provincia di Pordenone, però, ha sofferto meno nell'artigianato che in altri comparti, visto che le imprese attive nel 2009 erano 8 mila 48, 546 in meno rispetto a oggi. «Ogni azienda che chiude non è solo una perdita per l'imprenditore e la sua famiglia – dichiara il presidente di Confartigianato Pordenone, Silvano Pascolo – ma è una perdita per la collettività, per i posti di lavoro cancellati, per l'esperienza e l'abilità che scompaiono.
I numeri ci dicono però che la voglia di rischiare di chi ha un'anima artigiana è dura a morire. Anche lo scorso anno ci sono stati quasi 500 imprenditori che hanno deciso di investire in se stessi e dare vita ad un'impresa artigiana. Si tratta di uomini e donne che hanno scelto di scommettere sulle proprie capacità e hanno deciso di rischiare. Nonostante tutto.
Nonostante un sistema fiscale nemico dell'impresa, nonostante una burocrazia asfissiante che ruba energie e risorse, nonostante continuiamo ad avere l'energia più cara d'Europa, nonostante il Sistri e le tante norme assurde che continuano a valere in questo Paese».
Per queste ragioni «continuiamo a dire che l'Italia deve cambiare, che le riforme vere, radicali, significative, che la semplificazione autentica, che l'alleggerimento normativo devono essere varate. Non solo per incoraggiare – sostiene Pascolo – gli artigiani che ancora resistono, ma anche coloro che vogliono farlo. E' l'ennesimo appello che avanziamo nei confronti del Governo ricordando che sono le imprese che creano lavoro.
Anche il Job act è inutile se non ci sono aziende che assumono. Chiediamo quindi – conclude Pascolo – un gesto di coraggio vero capace di sostenere chi, ancora crede che sia possibile fare impresa in Italia»
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