Hanno rappresentato la punta di diamante di un’Italia che progettava la creazione di imprese moderne, diffondendo tra gli imprenditori le pratiche più avanzate, oggi diremmo le best practices, nei settori del vetro, concia delle pelli, lavorazione della carta e cartone, combustibili e soprattutto in quello alimentare. Accadeva nel 1923. Oggi le 8 Stazioni Sperimentali per l’industria, trasformate nel 2010 da organismi centrali in aziende speciali delle Camere di Commercio, sono di fatto declassate a enti inutili e costosi.
E infatti, nelle liste dei carrozzoni di Stato, di cui si chiede a gran voce la chiusura o la riforma, loro non mancano quasi mai. Un esempio? A Parma opera l’Azienda speciale dedicata alle Conserve Alimentari. La missione della struttura è promuovere il progresso scientifico, tecnico e tecnologico dell’industria conserviera attraverso attività di ricerca, consulenza e formazione alle aziende, principalmente a quelle della trasformazione di carni. Da tempo, però, la legge ha imposto alle imprese del settore alimentare di munirsi di tutti gli strumenti per garantire la qualità dei loro prodotti. E quindi non sanno proprio che farsene di un’Azienda pubblica che gli fornisce gli stessi servizi che hanno già al loro interno. Eppure a Parma, come altrove in Italia, le imprese non possono scegliere, devono comunque versare un contributo obbligatorio, calcolato sulla base del monte salari e del fatturato, sia che si avvalgano della consulenza dell’Azienda speciale di settore sia che ne facciano a meno.
E se la consulenza esula dall’ordinario, il conto si paga a parte. Da qui la lettera che Confartigianato ha inviato al ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi, con cui si chiede la cancellazione di questo insopportabile balzello. «Si tratta – ricorda Pascolo – di un meccanismo di prelievo obbligatorio che tradisce la finalità della riforma del 2010, che mirava a mettere in moto un sistema di autofinanziamento delle Aziende Speciali basato sui ricavi derivanti dai servizi effettivamente resi alle imprese». Insomma, una richiesta di buon senso che in un Paese normale verrebbe accolta di certo.
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